Nell’area dell’Albert Dock di Liverpool si trovano i migliori musei cittadini, e tra il Merseyside Maritime Museum e la Tate Liverpool, possiamo anche visitare l’International Slavery Museum, l’unico museo in Europa che racconta la storia del commercio degli schiavi. La sua inaugurazione è avvenuta nel 2007, nell’anniversario del bicentenario dell’abolizione del commercio degli schiavi in Gran Bretagna, e oggi si occupa di divulgare e diffondere risorse sui diritti umani.
Cosa vedere all’International Slavery Museum
In Inghilterra è normale trovare ovunque persone di ogni razza e colore perfettamente integrate, molte delle quali provenienti dalle ex colonie, mentre in Italia non esiste nulla di simile a questo melting pot e colonialismo e schiavitù sono argomenti trattati solo di sfuggita alle superiori.
La deportazione degli schiavi africani in America è stato invece un elemento fondamentale per la nascita e lo sviluppo delle colonie europee e una visita all’International Slavery Museum può aiutarci a capire cosa ci ha lasciato in eredità questo periodo storico. La visita è emotivamente coinvolgente e se siamo bianchi rischiamo di sentirci colpevoli anche noi appena realizziamo l’enorme mostruosità della schiavitù.
Il direttore dei musei di Liverpool, David Flaming, spiega che lo scopo dell’International Slavery Museum è affrontare l’ignoranza e l’incomprensione sull’impatto profondo e permanente che la schiavitù e il commercio degli schiavi ha avuto in Africa, Sud America, Stati Uniti, Caraibi e Europa Occidentale per aumentare la comprensione del mondo che ci circonda. Per raggiungere questo obiettivo, il percorso del museo inizia con l’illustrarci la vita nell’Africa Occidentale, per poi passare all’economia della schiavitù e finire con una panoramica sulle lotte per i diritti civili dei neri.
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La vita nell’Africa Occidentale
La prima sezione dell’International Slavery Museum si chiama proprio Life in West Africa e spiega come prima del colonialismo i popoli dell’Africa occidentale avessero una loro storia ricca e variegata che comprendeva regni, città-stato e altre organizzazioni territoriali, ognuna con una propria lingua e cultura.
Per esempio i regni di Mali, Benin e Congo erano strutture pari a quelle europee e governavano centinaia di migliaia di sudditi. In altre aree invece vigevano sistemi politici più semplici che si basavano sugli accordi presi tra le persone dei singoli villaggi. A livello culturale invece gli africani erano esperti in materie come la medicina, la matematica e l’astronomia, oltre che nella produzione di oggetti in bronzo, avorio, oro e terracotta.
Devo confessarvi che non mi ricordo nulla di particolarmente eccezionale esposto in questa sezione, ma la storia che racconta ci fa vedere l’Africa sotto un punto di vista totalmente nuovo e ci aiuta a capire come ha anche influenzato culturalmente il resto del mondo. Io non avrei mai immaginato strutture sociali organizzate nell’Africa pre-coloniale perché non l’ho mai studiato a scuola né ho mai visitato questi luoghi, per me l’Africa centrale era solo sinonimo di guerra e genocidi!
La riduzione in schiavitù e il trasporto via nave
La seconda parte dell’esposizione invece racconta come gli schiavi africani siano stati obbligati a lavorare nelle piantagioni americane, con delle sezioni dedicate all’economia della schiavitù, al trasporto via nave degli schiavi e alla vita nelle colonie.
A centinaia di anni di distanza risulta difficile pensare al fatto che si potessero comprare altri esseri umani, ma all’epoca gli africani venivano trattati dagli europei come animali da macello. Il viaggio via nave verso l’America durava dalle otto alle dieci settimane durante le quali moltissimi schiavi morivano di malattia e stenti.

L’idea del mercato degli schiavi risulta ancora più assurda se pensiamo a come gli africani occidentali commerciassero già da secoli oro, avorio e spezie con gli europei. I commercianti europei iniziarono però a rapire e acquistare le persone africane appena si resero conto che i proprietari delle piantagioni continuavano a richiedere sempre più schiavi per poter soddisfare la crescente domanda di zucchero, caffè e cotone in Europa.
Il lascito della schiavitù
Nell’ultima parte dell’esposizione viene ricordato il razzismo e la discriminazione subìta dalla popolazione nera anche dopo l’abolizione del commercio degli schiavi, accompagnati da esempi su come le persone di origine africana hanno contribuito a modellare cultura e società di America e Europa.
I protagonisti qui sono Martin Luther King, il movimento dei diritti civili e le Pantere Nere. Sul muro chiamato Black Achievers Wall sono infine celebrate persone di colore famose come la medaglia d’oro alle Olimpiadi Kelly Holmes, il pugile Muhammad Ali, la presentatrice televisiva Oprah Winfrey e l’eroina della guerra di Crimea Mary Seacole.
A me tutte queste persone sinceramente trasmettono poco, forse perché non fanno direttamente parte della mia cultura. Mi ha invece interessato molto di più la parte che spiegava l’economia dello schiavismo che invece il mio fidanzato ha trovato particolarmente pesante dal punto di vista emotivo.
Le rotte marittime del commercio degli schiavi attraverso l’Oceano Atlantico
Per indicare le rotte commerciali dello scambio di beni e persone tra il 1500 e il 1900 si utilizza la definizione di triangle trade, o commercio triangolare, perché comprendeva passaggi in tre continenti diversi.

Nel percorso del commercio triangolare si combinavano i capitali europei con la manodopera africana e le risorse americane per rifornire il mercato europeo. Le navi infatti partivano dall’Europa con tessuti, liquori e armi da fuoco da scambiare in Africa con gli schiavi da trasportare in America, per poi ripartire cariche di materie prime come zucchero, caffè, tabacco e cotone, prodotte dal lavoro degli schiavi.
Con il crescere dell’importanza e autonomia delle colonie, si è aperta anche una rotta diretta verso l’Africa ad opera dei coloni americani che non seguiva il percorso triangolare dei commercianti europei. Questa diversa rotta è aumentata di importanza dopo il 1800, in particolare dal Brasile, ma non prevedeva un migliore trattamento per gli schiavi.
Le nazioni europee coinvolte nella tratta degli schiavi erano davvero molte, e per quanto riguarda la Gran Bretagna, questo tipo di commercio avveniva attraverso società private come la Royal African Company di Londra che per un periodo ne ha anche detenuto il monopolio.
Tra il 1500 e il 1900 gli europei hanno sradicato dalla loro terra milioni di africani per spedirli in America via nave durante viaggi che avvenivano in condizioni terribili. Già solo chiamare con il nome collettivo di “schiavi” tutte queste persone le priva della loro identità. Tutte le persone ridotte in schiavitù infatti erano agricoltori, mercanti, mariti, mogli, sacerdoti, soldati o musicisti che facevano parte di una cultura diversa da quella europea, ma non per questo meno importante. Provenire da un Paese con usanze differenti non dovrebbe mai giustificare separazioni forzate e abusi, e riflettere su questo punto mi ha fatto tornare in mente le notizie più recenti sui profughi e migranti che arrivano oggi in Europa.

La diaspora africana
La presenza delle persone di colore in America ed Europa, se escludiamo le migrazioni più recenti, è una diretta conseguenza della diaspora africana, ovvero dello spostamento forzato delle milioni di persone ridotte in schiavitù per più di 2.000 anni.
Il viaggio degli schiavi per nave attraverso l’Atlantico, definito middle passage nel mondo anglosassone, durava generalmente da 6 a 8 settimane durante il quale morivano moltissime persone. Una volta arrivati in America, gli africani sopravvissuti al viaggio venivano messi in vendita per lavorare come schiavi nelle piantagioni.
Purtroppo il middle passage non avveniva in modo così diretto perché le navi schiaviste passavano mesi viaggiando lungo la costa africana per acquistare il loro carico di persone. I prigionieri erano spesso in cattive condizioni di salute a causa degli abusi fisici e mentali che subivano appena salivano a bordo. Gli uomini venivano incatenati tutti insieme sul ponte in uno spazio ridotto mentre le donne e i bambini venivano tenuti in quartieri separati con una limitata libertà di movimento che però esponeva loro alla violenza e all’abuso sessuale dell’equipaggio.
Al raggiungimento della costa americana, l’equipaggio delle navi schiaviste obbligava i prigionieri africani a lavarsi e rasarsi per venire presentati ai piantatori e grossisti interessati all’acquisto. Quasi nessuna famiglia riusciva a restare unita perché i proprietari e i loro sovrintendenti cercavano di cancellare le identità dei loro schiavi e rompere tutti i loro legami con il passato in modo da costringerli ad ad adattarsi alle nuove condizioni di vita e lavoro per sopravvivere.
Molti africani ridotti in schiavitù non sono riusciti a resistere alla brutalità dei trattamenti, e si sono suicidati e lasciati morire, mentre quelli che resistevano venivano puniti. Si tratta di una storia tristissima perché per queste persone non c’era nessuna possibilità di salvezza, solo una vita di lavoro forzato davanti a loro.

L’International Slavery Museum racconta una storia molto intensa ed emotivamente coinvolgente che fa riflettere su temi davvero importanti. Dopo questa visita forse non diventeremo delle attiviste dei diritti umani, ma cambierà sicuramente il nostro modo di vedere la storia e l’attualità.
Info pratiche per visitare l’International Slavery Museum a Liverpool
L’international Slavery Museum di Liverpool si trova all’Albert Dock, un sito patrimonio UNESCO dove nel XVIII secolo venivano riparate e attrezzate le navi mercantili.
Dato che si trovano a brevissima distanza a piedi tra loro, in un solo giorno potete unire la visita a questo museo più la Tate Liverpool, le esposizioni permanenti sui naufragi dei transatlantici Titanic e Lusitania al Merseyside Maritime Museum e il museo The Beatles Story.
📌 International Slavery Museum
Albert Dock
L3 4AQ Liverpool
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15 commenti
la storia e i musei sono fatti per insegnare, farci capire la realtà attuale e non farci ripetere gli stessi errori. La schiavitù esiste ancora, oggi, nel 2018. Visitare un posto simile fa sicuramente accapponare la pelle e pensare!
Accapponare la pelle no perché è un museo allestito con molta intelligenza, fa riflettere senza spaventare. Una volta tornata a casa però quei pensieri non ti lasciano più stare e tornano a fare capolino ogni volta che senti le notizie dei migranti o dei caporali nell’agricoltura…
Museo molto interessante. Ci sono stata due volte e, chissà perché, non l’ho ancora raccontato sul blog.
Per una volta allora ti ho battuta sul tempo 🙂
è importante che esista un museo dedicato ad un tema così importante e grave della storia dell’umanità. Un capitolo della storia occidentale che ha avuto implicazioni incredibili sulla società umana mondiale. Hai fatto un resoconto completissimo su questo museo e soprattutto sui suoi contenuti: come dici bene, in Italia abbiamo una percezione fievolissima di cosa fu il fenomeno dello schiavismo
Dello schiavismo studiato a scuola mi ricordavo solo che gli schiavi lavoravano nelle piantagioni di cotone e prima di visitare questo museo non avevo idea di quanto il fenomeno fosse più vasto
Liverpool è una città che mi attira molto e che visiterei molto volentieri. Questo museo è importante e sicuramente conoscere meglio tanta parte di questa drammatica e terribile storia delle popolazioni africane ci farebbe avere una prospettiva del tutto diversa su tanti avvenimenti odierni. Purtroppo tante vicende di oggi ci dimostrano che l’abolizione della schiavitù è spesso più ipotetica che reale.
Infatti è molto triste pensare che la schiavitù “codificata” non esiste più, ma anche senza guardare troppo distante da noi troviamo capolarato e sfruttamento dei migranti
Post molto interessante non conoscevo questo museo.
La piaga della schiavitù è un argomento storico che ha molto interesse per me, ho letto e mi sono informata spesso su questo triste periodo storico, penso che sarebbe molto interessante per me visitare il museo.
Questo museo è davvero toccante, ma allo stesso tempo utilissimo per capire un fenomeno così assurdo come quello della schiavitù
Non credo che in Italia argomenti importanti come questo, ricevano il giusto spazio. O almeno questa è l’impressione che ho io ma potrei anche sbagliarmi. E’ bello vedere come a Liverpool invece ci sia un museo intero che da la possibilità di approfondire la storia e capire meglio il passato.
In Italia ho visitato alcuni musei interessantissimi però effettivamente si basano tutti sulla storia e l’arte più antica, non ho mai trovato riferimenti alla contemporaneità. Poi c’è anche tanto razzismo sottile e meno multiculturalità quindi un museo sulla schiavitù da noi probabilmente verrebbe contestato invece che apprezzato…
Bellissimo post.. davvero interessante!
Sarebbe giusto visitare musei come questo per rendersi conto di ciò che succedeva e per riflettere..
Se dovessi capitare a Liverpool ci andrei sicuramente..
Grazie per averlo condiviso! 😉
I musei di Liverpool sono tutti davvero curatissimi, hanno fatto un grande investimento sulla cultura!